Il tema della mostra: la città letta attraverso i suoi giardini
La mostra assume il giardino romano come chiave di lettura privilegiata per comprendere l’evoluzione della città. Fin dal Cinquecento, le ville suburbane, spesso commissionate da papi, cardinali e grandi famiglie, sono luoghi di rappresentanza politica e culturale, in cui il disegno del giardino all’italiana, geometrico e regolato, mette in scena il dominio dell’ordine umano sulla natura. Nel Seicento barocco, gli spazi verdi diventano vere e proprie scenografie, animate da fontane, statue, padiglioni e prospettive calibrate, mentre il Settecento introduce una sensibilità più libera, influenzata dal gusto paesaggistico europeo.
Conservazione e trasformazione urbanistica
L’Ottocento e il Novecento segnano invece la progressiva tensione fra conservazione e trasformazione urbanistica: la crescita della capitale e le grandi opere infrastrutturali modificano radicalmente il rapporto fra ville, fiume e tessuto urbano, ma al tempo stesso inaugurano una nuova stagione di parchi pubblici e passeggiate collettive.
La mostra mette in evidenza come, nel corso dei secoli, il giardino passi da status symbol di un’élite a bene condiviso e tema centrale del dibattito sul verde urbano, fino alla stagione dei progetti moderni e della pianificazione, in cui figure come Luigi Piccinato e Raffaele de Vico ridefiniscono il paesaggio della città, letto e documentato anche nelle tele di Carlo Montani.
Il percorso espositivo
Sezione I – Cinquecento: la nascita della villa romana moderna
La prima sezione è dedicata alle ville del Cinquecento, quando Roma, uscita dalle crisi del tardo Medioevo, si configura nuovamente come capitale artistica europea. Qui il giardino è ancora strettamente connesso all’ideale umanistico dell’otium: luogo di studio, di conversazione e di collezionismo antiquario, articolato in terrazze, pergolati, parterres e boschetti studiati con rigore prospettico. Il visitatore è introdotto a contesti come Villa Madama, Villa Giulia, il Belvedere Vaticano e la Farnesina, documentati in mostra da vedute e incisioni che restituiscono il momento in cui il paesaggio romano viene sistematicamente progettato e rappresentato.
Giardini cardinalizi
Un ruolo centrale è affidato alle opere di Hendrick van Cleve, che nelle sue vedute di giardini cardinalizi a Roma anticipa una lettura analitica dello spazio verde, con attenzione alla disposizione delle sculture, alle quinte architettoniche e al rapporto fra architettura e vegetazione. Nei suoi dipinti, il giardino non è semplice sfondo ma struttura ordinatrice della composizione: una trama di assi e focali che guida lo sguardo verso logge, esedre, fontane. L’iconografia cinquecentesca delle ville emerge così come un repertorio fondamentale per la storia del giardino europeo, in cui Roma assume il ruolo di laboratorio privilegiato.
In questa fase, il giardino romano è ancora profondamente legato alla cultura antiquaria: statue, frammenti, iscrizioni vengono integrati negli spazi verdi, trasformando la villa in un museo all’aperto. La mostra mette in luce come tali scelte non siano meri ornamenti, ma veri dispositivi di autorappresentazione: la collezione di antichità, organizzata nel giardino, costruisce un discorso di continuità simbolica fra l’antica Roma e la nuova Roma dei papi e dei cardinali.
Sezione II – Seicento: teatralità barocca
Nel Seicento, il barocco romano imprime una svolta decisiva all’immagine delle ville. È il secolo in cui i giardini diventano scenografie del potere, articolate in assi prospettici, scalinate, giochi d’acqua e sorprendenti dispositivi idraulici. In questo contesto, la mostra pone in particolare rilievo le vedute di Joseph Heintz il Giovane, autore di una celebre Veduta di Villa Borghese e di immagini dedicate a Villa Mattei, che fissano con un’attenzione quasi topografica la struttura dei giardini e delle architetture.
Estetica barocca
Le tele di Heintz, pur legate alla tradizione nordica, si inseriscono pienamente nell’estetica barocca romana: i viali alberati si aprono verso piazzali dominati da statue, i parterre sono ritmati da vasche e fontane, i casino si affacciano su scorci prospettici studiati. L’artista combina la precisione del rilievo con una luce chiara, che restituisce la qualità atmosferica dei giardini all’alba o nel pieno del giorno, trasformando la veduta in uno strumento privilegiato di conoscenza e di rappresentazione.
Accanto a Heintz, la sezione richiama l’attività dei grandi architetti e scultori barocchi che plasmano questi spazi, da Flaminio Ponzio a Carlo Maderno, da Giovanni Vasanzio ad Alessandro Algardi e Pietro da Cortona, rendendo evidente come il giardino sia il risultato di una collaborazione interdisciplinare fra progettisti, artisti e committenti. Il percorso espositivo sottolinea inoltre come la veduta barocca, pur nata come documento, tenda a teatralizzare la percezione, enfatizzando gli effetti scenografici dei percorsi e degli affacci sul paesaggio circostante.
Sezione III – Settecento: tra giardino formale e paesaggio
La sezione dedicata al Settecento illustra il passaggio dal rigore del giardino all’italiana alla progressiva apertura verso il giardino paesaggistico. Protagonisti sono i vedutisti che, come veri cronisti visivi, documentano l’evoluzione dei giardini romani e delle loro relazioni con la città. Spiccano le opere di Caspar van Wittel, che nelle sue vedute di Villa Altoviti, di Villa Medici e delle rive del Tevere registra non solo l’assetto dei giardini, ma anche le trasformazioni dovute alla costruzione degli argini e alle grandi opere idrauliche che modificano il rapporto fra ville e fiume.
Giardini romani in Europa
Accanto a van Wittel, la mostra valorizza le tele di Paolo Anesi, in cui il paesaggio romano è filtrato da una sensibilità luministica più morbida, e le incisioni e vedute di Francesco Panini, figlio di Giovanni Paolo Panini, la cui attività di disegnatore e incisore è fondamentale per la diffusione dell’immagine dei giardini romani in Europa. Le sue vedute del Giardino Vaticano di Belvedere, di Villa Albani e di altri complessi illustrano con perizia la struttura delle aiuole, la disposizione delle statue, la sequenza delle fontane, facendo del giardino un testo leggibile attraverso la grafica.
In questo contesto, la presenza di opere di Christoffer Wilhelm Eckersberg, come la veduta del giardino di Villa Borghese o del cosiddetto “casino di Raffaello”, testimonia l’interesse dei pittori nordici per il paesaggio romano, percepito come luogo di sintesi fra antichità e natura. La veduta settecentesca assume così una dimensione internazionale: Roma diventa meta privilegiata del Grand Tour e i giardini, con le loro architetture immerse nel verde, si trasformano in icone di una classicità reinventata, che influenzerà a lungo la cultura europea del paesaggio.
Sezione IV – Ottocento: distruzioni, nuovi giardini e la città capitale
La sezione sull’Ottocento affronta uno dei capitoli più complessi della storia dei giardini romani: distruzioni, nuovi giardini e la trasformazione della città in capitale del Regno d’Italia e le profonde modificazioni urbanistiche che ne derivano. L’apertura di nuovi assi viari, la costruzione degli argini del Tevere, la lottizzazione di molte ville suburbane determinano la perdita o la mutilazione di numerosi complessi storici. Le vedute ottocentesche, spesso realizzate da pittori e viaggiatori stranieri, oscillano fra il desiderio di documentare ciò che sopravvive e una sottile nostalgia per un paesaggio percepito come minacciato.
Nuovi parchi urbani
Il percorso espositivo mette in luce come, in questa fase, il giardino inizi a configurarsi anche come spazio pubblico: si affermano nuovi parchi urbani, passeggiate panoramiche, viali alberati destinati alla collettività, in cui la villa perde in parte il suo carattere elitario. La dimensione politica del verde emerge con forza: la città capitale ha bisogno di rappresentarsi anche attraverso una rete di spazi aperti, capaci di mediare fra memoria storica e modernità urbana.
In questo contesto, l’attenzione della mostra si concentra sui giardini che diventano teatro di eventi storici, come il Gianicolo durante la Repubblica romana del 1849, e su vedute in cui il paesaggio è attraversato da tracce di conflitti, trasformazioni, cantieri. L’immagine del giardino ottocentesco non è più soltanto un’ode alla bellezza, ma anche un commento, talvolta implicito, sulle tensioni della modernizzazione.
Sezione V – Vivere in villa
La sezione intitolata “Vivere in villa” rappresenta il cuore più vivido e narrativo dell’esposizione. Qui il giardino è analizzato come spazio vissuto, quotidianità, sociabilità e modernità dello sguardo, attraversato da rituali sociali e da pratiche quotidiane. I dipinti mostrano feste all’aperto, concerti, passeggiate domenicali, carrozze che percorrono i viali, bambini che giocano, figure eleganti che sostano su terrazze panoramiche. Il giardino diventa teatro della modernità urbana: uno spazio in cui la città sperimenta nuove forme di sociabilità e di tempo libero.
Particolarmente significativi sono i dipinti di Georges Paul Leroux e Armando Spadini, che traducono questo vissuto in immagini dense di atmosfera. Leroux, autore di opere come la Passeggiata al Pincio e la veduta dei giardini di Villa d’Este a Tivoli, concentra l’attenzione sui flussi di figure, sui viali alberati, sui rapporti fra masse verdi e architetture, facendo del giardino un palcoscenico della vita borghese fra Otto e Novecento.
Villa Borghese e Pincio
Spadini, dal canto suo, dedica a Villa Borghese e al Pincio una serie di dipinti, fra cui Alberi a Villa Borghese e Musica al Pincio, in cui il paesaggio è restituito con una pittura vibrante e sintetica, capace di cogliere la luce filtrata dalle chiome, il fluire delle carrozze, il brulichio discreto dei passanti. In queste opere, il giardino si fa quasi protagonista emotivo: non più semplice quinta, ma organismo pulsante, in cui la natura urbana riflette stati d’animo, memorie, affetti.
La sezione mostra come le immagini di Leroux e Spadini contribuiscano a consolidare un immaginario moderno del giardino romano, in cui la dimensione del piacere e della socialità si intreccia con la consapevolezza di vivere in un paesaggio storicamente determinato. Il visitatore è invitato a riconoscere nei viali, nelle terrazze, nelle quinte alberate rappresentate in queste tele luoghi ancora oggi frequentati, ma carichi di risonanze storiche e artistiche.
Sezione VI – Novecento: pianificazione urbana e sguardo contemporaneo
L’ultima sezione affronta il Novecento, secolo in cui la questione del verde urbano entra a pieno titolo nel discorso della pianificazione urbana e sguardo contemporaneo. Accanto alle opere pittoriche, trovano spazio materiali fotografici, documenti e riferimenti a figure chiave della cultura del paesaggio romano, come Raffaele de Vico e Luigi Piccinato.
Il comunicato stampa segnala la presenza in mostra di una storica fotografia del modello in miniatura di villa romana tra Cinque e Seicento realizzato da Piccinato, a testimonianza di come l’urbanista guardi alla tradizione storica dei giardini come fonte di ispirazione per il progetto moderno.
Evoluzione del verde romano
Le opere che documentano i giardini progettati da De Vico, come Villa Glori, il Parco della Rimembranza e altri complessi novecenteschi, sono affiancate alle tele di Carlo Montani, che con meticolosa attenzione descrive viali, sistemazioni arboree e scorci urbani in trasformazione, offrendo un prezioso repertorio visivo dell’evoluzione del verde romano fra gli anni Venti e Trenta. In questa dialettica fra progetto e immagine, la mostra evidenzia come il giardino non sia più solo patrimonio aristocratico, ma tema centrale della modernità urbana, oggetto di politiche pubbliche e di riflessioni teoriche, come dimostra anche la produzione critica di Piccinato sui “giardini moderni”
La sezione novecentesca chiude idealmente il percorso riportando l’attenzione al presente: le immagini dei giardini storici, le tracce delle loro trasformazioni, i progetti che ne hanno segnato la sopravvivenza o la perdita, invitano il visitatore a interrogarsi sulla condizione attuale del verde romano e sulle responsabilità condivise nella sua tutela. Il Museo di Roma, attraverso questo capitolo, si pone non soltanto come custode del passato, ma come luogo in cui il patrimonio paesaggistico diventa materia viva di riflessione civica.
Gli artisti e gli sguardi sul paesaggio romano
Uno degli aspetti più significativi dell’evento è la capacità di intrecciare sguardi diversi, italiani e stranieri, pittorici e grafici, storici e moderni, su uno stesso soggetto. Nel Cinquecento, Hendrick van Cleve inaugura una tradizione di osservazione analitica del giardino cardinalizio, in cui la disposizione delle statue e delle architetture nel verde diventa pretesto per esplorare nuove costruzioni prospettiche. Nel Seicento, Joseph Heintz il Giovane trasferisce in chiave barocca l’eredità nordica della veduta, restituendo la complessità di complessi come Villa Borghese e Villa Mattei.
Il Settecento vede l’affermarsi dei vedutisti Caspar van Wittel, Paolo Anesi e Francesco Panini, che documentano l’assetto dei giardini romani, da Villa Medici e Villa Altoviti alla Farnesina, dai Giardini Vaticani a Villa Albani, con uno sguardo insieme descrittivo e interpretativo, sospeso fra topografia e invenzione. Nel dialogo con questi maestri, il danese Christoffer Wilhelm Eckersberg offre nel primo Ottocento variazioni luminose e misurate su Villa Borghese e sui complessi suburbani, anticipando la sensibilità moderna per la percezione atmosferica del paesaggio.
Passaggio al Novecento
Nel passaggio al Novecento, la rappresentazione del giardino assume tonalità nuove con Georges Paul Leroux e Armando Spadini: il primo, attento alle dinamiche della folla e alle misure monumentali dei viali del Pincio o dei giardini di Villa d’Este, il secondo concentrato sul ritmo degli alberi, sul filtro della luce, sulle situazioni quotidiane dei romani in cerca di svago e respiro nei parchi cittadini.
In parallelo, la cultura progettuale di Luigi Piccinato e la pittura di Carlo Montani testimoniano come il tema del giardino entri definitivamente nel discorso urbanistico e nella coscienza civile della città, diventando oggetto di pianificazione, critica e memoria visiva.
Perché visitare la mostra?
Visitare la mostra significa disporre di uno strumento privilegiato per comprendere come la città si sia costruita, nei secoli, anche attraverso il proprio paesaggio verde. La mostra offre per la prima volta una sintesi ampia e scientificamente fondata dell’immaginario pittorico dei giardini romani dal Cinquecento alla seconda metà del Novecento, attraverso un nucleo di circa 190 opere provenienti da importanti istituzioni italiane e internazionali e da collezioni private.
Per il pubblico di studiosi, storici dell’arte, guide e appassionati di Roma, il percorso costituisce un’occasione rara per confrontare, in un unico contesto, linguaggi diversi, pittura, grafica, fotografia, documenti, che concorrono a delineare la storia del giardino come luogo di potere, di otium, di rappresentanza, ma anche come spazio di vita quotidiana e di progettualità urbanistica.
Per il visitatore non specialistico, la mostra offre una chiave concreta per leggere la città contemporanea: riconoscere nelle vedute storiche gli stessi viali, terrazze e quinte arboree che ancora oggi abitano l’esperienza di Roma significa riannodare il filo fra esperienza personale e lunga durata storica.
Curatori e organizzazione
La mostra è curata da Alberta Campitelli, Alessandro Cremona, Federica Pirani e Sandro Santolini, con il supporto di un comitato scientifico internazionale. È promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e realizzata da Zètema Progetto Cultura, con il contributo di Euphorbia Srl, Cultura del Paesaggio.
