La Grecia a Roma. 150 capolavori in mostra

29 Novembre - 12 Aprile 2026

Questa importante mostra presenta oltre 150 capolavori greci originali, tra cui sculture, rilievi, bronzi e ceramiche, che hanno plasmato l’estetica e l’identità culturale dell’antica Roma. Rivela il profondo e duraturo dialogo tra la civiltà greca e quella romana, offrendo un raro incontro con reperti, alcuni dei quali esposti per la prima volta.

Musei Capitolini, Villa Caffarelli – Piazza del Campidoglio, 1

Statua di Niobe ferita. Roma, presso il ninfeo degli Horti Sallustiani. Marmo pario lichnite | 430 a.C. circa Roma, Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo

“La Grecia a Roma”, presentata ai Musei Capitolini nelle sale espositive di Villa Caffarelli, è costruita come un’argomentazione basata sugli oggetti sulla trasmissione culturale. Oltre 150 opere greche originali – sculture, rilievi, bronzi, ceramiche ed elementi architettonici – sono raccolte per mostrare come le immagini greche entrarono in città, come furono interpretate dai mecenati romani e come si trasformarono in strumenti di identità, prestigio e potere.

La scelta più decisiva della mostra è anche la più impegnativa: privilegiando originali greci (alcuni mai esposti prima, altri tornati a Roma dopo secoli di dispersione), sposta l’attenzione dall'”imitazione romana” all’autorità materiale di ciò che Roma desiderava possedere. Il risultato non è un panorama neutrale, ma un itinerario critico in cui convergono storia dell’arte, archeologia e politica espositiva.

Quadro critico: le “biografie” delle opere greche a Roma

L’idea guida di “La Grecia a Roma” è che l’arte greca nel mondo romano non possa essere ridotta a una generica nozione di “influenza”. I manufatti greci giungono a Roma attraverso meccanismi storici distinti — commercio, conquista, scambi diplomatici e collezionismo — e ciascun meccanismo lascia una traccia nel modo in cui le opere vengono lette e utilizzate.

La mostra traduce questa premessa in una struttura chiara: tre grandi fasi — importazione precoce, conquiste mediterranee e età del collezionismo — sono costantemente messe in relazione con i contesti d’uso: spazi sacri, spazi pubblici e residenze private. Questa doppia prospettiva (cronologica e funzionale) impedisce di considerare gli oggetti come “capolavori” avulsi dal loro contesto, restituendoli invece come agenti storicamente situati nella società romana.

Dall’oggetto al segno: la rifunzionalizzazione come dato storico

Un tema ricorrente lungo il percorso espositivo è quello della rifunzionalizzazione: il mutamento di ruolo che un oggetto subisce quando viene spostato. Una figura votiva nata per dialogare con il divino si trasforma a Roma in una prova materiale di dominio; un monumento funerario concepito per la memoria diventa un trofeo da collezione; una statua destinata a una copertura architettonica si fa emblema estetico in un giardino colto.

La mostra invita a leggere questi passaggi come dati storici, non come semplici costruzioni narrative. A Roma, l’arte greca poteva agire simultaneamente come standard estetico, simbolo politico e moneta sociale. Il pubblico romano non si limitava ad ammirare l’arte greca: la mobilitava, collocandola dove potesse produrre prestigio, autorità o grandezza civica.

Dalle origini votive e funerarie al simbolismo politico

I momenti più persuasivi della mostra sono quelli in cui la funzione originaria dell’oggetto rimane leggibile anche dopo la sua ricontestualizzazione romana. È proprio questa tensione — tra origine e uso successivo — a generare significato. La narrazione curatoriale tratta quindi le opere come se avessero una “vita”: ciascun oggetto è suscettibile di molteplici letture nel tempo.

Questo approccio chiarisce perché l’esposizione non sia una semplice antologia di capolavori, ma una ricostruzione dei modi in cui la cultura romana ha costruito autorità attraverso le immagini. Un oggetto votivo parla a una divinità; un trofeo parla alla folla; una statua in una domus parla agli ospiti selezionati. Spostare un oggetto tra questi ambiti significa mutarne il pubblico, l’etica e l’orizzonte semantico.

Roma come città-collezione: la messa in scena urbana dell’arte greca

Con l’accumularsi delle opere greche, Roma stessa iniziò a funzionare come uno spazio curato. Statue collocate in portici, teatri, terme, biblioteche e templi trasformavano il movimento urbano in un’esperienza visiva continua.

La mostra mette in luce questo fenomeno senza idealizzarlo: Roma diventa una città che espone la cultura conquistata. L’arte greca è presente negli spazi civici non solo per piacere, ma per significare. L’esposizione interpreta il display pubblico come una grammatica politica: più Roma collezionava, più traduceva il capitale culturale straniero in identità civica. Questa logica aiuta anche a comprendere perché la Roma imperiale non abbandonò mai i modelli greci, ma li istituzionalizzò come norma della vita colta.

Il Templum Pacis: arte, pace e retorica imperiale

Tra gli esempi romani evocati, il Templum Pacis edificato da Vespasiano dopo la vittoria (75 d.C.) cristallizza il rapporto tra potere e arte. Nato come monumento alla restaurazione dell’ordine, divenne presto uno spazio in cui l’arte greca veniva esposta al centro dell’impero, offrendo una lezione su come Roma trasformasse le immagini in retorica politica.

La tesi più ampia della mostra ne risulta rafforzata: l’arte greca non fu un corpo estraneo nella cultura romana, ma un linguaggio che Roma imparò a parlare con estrema competenza, proprio perché le consentiva di rappresentarsi come erede, curatrice e arbitra dell’eccellenza mediterranea.

Il tema in primo piano: media, stili e desiderio romano di grecità

Attraverso la varietà dei manufatti esposti, “La Grecia a Roma” dimostra che l’interesse romano per l’arte greca non si limitò alla scultura monumentale. La selezione comprende bronzi di eccezionale ambizione tecnica, ceramiche legate agli scambi più antichi e ai contesti rituali, e monumenti chiave che ancorano il racconto a funzioni sociali specifiche. Questa molteplicità è essenziale: diversi media circolavano in modi differenti, si rivolgevano a pubblici diversi e portavano con sé pesi simbolici differenti.

La mostra evita di trattare l’“arte greca” come uno stile unitario e mostra invece come il desiderio romano si orientasse verso la grecità come categoria flessibile — talora arcaizzante, talora classicista, talora ellenistica — adattabile a contesti e ambizioni romane.

Gli originali greci come scelta curatoriale e storiografica

La decisione di privilegiare originali greci costituisce una presa di posizione curatoriale netta. In molti contesti museali l’arte greca è conosciuta soprattutto attraverso copie romane; qui il racconto prende avvio dall’autorità materiale dell’originale. Gli originali non sono presentati come feticci di “autenticità”, ma come agenti storici: oggetti costosi, rari, la cui materia, scala e qualità tecnica avevano un peso sociale preciso nell’antichità.

A Roma, un bronzo greco originale non era solo un oggetto bello, ma un bene di grande valore economico e simbolico. La mostra sposta così l’attenzione dalla genealogia stilistica alla funzione sociale: gli originali diventano la moneta attraverso cui le élite romane negoziano educazione, status e legittimazione politica.

Ritorni e ricomposizioni: quando la dispersione diventa parte del significato

L’esposizione sottolinea come alcune opere siano presentate al pubblico per la prima volta, mentre altre tornano temporaneamente a Roma dopo secoli di dispersione. Questo aspetto non è trattato come spettacolo, ma come ulteriore strato storico: dispersione e ritorno fanno parte della biografia moderna delle antichità e influenzano il modo in cui oggi le interpretiamo.

La ricomposizione temporanea di gruppi scultorei, superando la frammentazione delle collezioni, restituisce una logica antica dello sguardo, permettendo di cogliere relazioni di scala, ritmo e narrazione. Diventa così evidente un nodo fondamentale della ricezione classica: la “vita postuma” dell’arte greca è stata modellata tanto dal collezionismo moderno quanto dalla conquista antica.

Opere chiave come ancore interpretative

All’interno dell’ampio corpus, alcune opere funzionano come veri e propri perni concettuali. La mostra valorizza la straordinaria riunificazione dei grandi bronzi capitolini e li inserisce in una riflessione più ampia sulla maestria tecnica e sull’appetito romano per la scultura in metallo.

Emergono monumenti che concentrano significati: la stele dell’Abbazia di Grottaferrata, con la sua dignità formale e funzione commemorativa; i Niobidi degli Horti Sallustiani, storicamente dispersi tra Roma e Copenaghen e qui riuniti per restituire coerenza narrativa a un mito; e una scultura acroteriale femminile della Collezione Al Thani (Parigi), il cui ritorno a Roma assume un forte valore simbolico, poiché l’opera era presente in città già nel Seicento.

Si segnala inoltre la presenza di ritrovamenti inediti, tra cui ceramiche attiche provenienti da recenti scavi nell’area del Colosseo, ricordando che la storia della cultura materiale greca a Roma è ancora in corso di riscrittura.

I Niobidi: mito, violenza e rappresentazione aristocratica

Il gruppo dei Niobidi esemplifica la capacità romana di tradurre il mito greco in linguaggio dello spazio elitario. L’uccisione dei figli di Niobe da parte di Apollo e Artemide è una narrazione di potere divino e limite umano, messa in scena attraverso corpi che drammatizzano vulnerabilità e punizione. Inserite in contesti aristocratici come gli Horti Sallustiani, queste immagini potevano operare come allegorie colte e come teatro sociale: ospitare convitati tra scene di violenza mitica significava esibire erudizione e dominio.

La mostra richiama anche affinità stilistiche che hanno suggerito confronti con l’Amazonomachia del Tempio di Apollo Sosiano, indicando come i fruitori romani potessero riconoscere l’autorità di un linguaggio scultoreo greco capace di trasformare il mito in architettura persuasiva.

Prestiti e istituzioni: una mappa temporanea del patrimonio classico

La rete dei prestatori evidenzia la portata internazionale e l’ambizione scientifica dell’esposizione. Accanto alle opere del Sistema Musei di Roma Capitale (Musei Capitolini e istituti collegati) e dei principali musei italiani (tra cui il Museo Nazionale Romano, le Gallerie degli Uffizi e il Museo Archeologico Nazionale di Napoli), “La Grecia a Roma” presenta prestiti dalla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen, dal Museum of Fine Arts di Boston, dai Musei Vaticani, dal Metropolitan Museum of Art di New York, dal British Museum di Londra e dal Museum of Fine Arts di Budapest.

Il percorso è completato da opere provenienti da collezioni private, tra cui la Fondazione Sorgente Group di Roma e la Collezione Al Thani di Parigi. Per il visitatore, questa costellazione non è un semplice elenco, ma il riflesso contemporaneo del fenomeno studiato dalla mostra: oggetti che circolano, narrazioni che si ricompongono, significati che si ridefiniscono attraverso la prossimità.

Il percorso espositivo a Villa Caffarelli: cinque sezioni di “La Grecia a Roma”

Il percorso di visita è articolato in cinque sezioni che sviluppano una narrazione coerente della “contaminazione” artistica e culturale tra Roma e il mondo greco. Una mappa grafica introduce la struttura, mentre il percorso è arricchito da contenuti multimediali che integrano archeologia e tecnologia digitale: ricostruzioni di contesti architettonici, cerimoniali e decorativi chiariscono il modo in cui le opere interagivano con lo spazio.

Questa integrazione non è ornamentale, ma metodologica: consente di percepire non solo l’oggetto, ma la sua ecologia storica — dove era collocato, chi poteva vederlo e quali forme di autorità era chiamato a sostenere.

I. “Roma incontra la Grecia”: rotte commerciali, santuari e tombe

La prima sezione, “Roma incontra la Grecia”, esplora i contatti più antichi tra Roma e le comunità greche, già tra VIII e VII secolo a.C.. L’evento collega tali contatti alla posizione strategica di Roma sul Tevere e all’interno delle rotte mediterranee, che favorirono l’arrivo di importazioni di pregio, in particolare ceramiche.

Questi oggetti non circolavano casualmente: erano destinati a contesti di prestigio — santuari e sepolture aristocratiche — dove potevano segnalare rango, legittimità rituale e appartenenza a una cultura mediterranea più ampia. La sezione interpreta dunque le prime presenze greche a Roma non come “influenza”, ma come prova materiale di un’adozione selettiva.

Casi di studio: Eubea, l’Esquilino e la prima traduzione religiosa

Tra i reperti più significativi figurano frammenti ceramici provenienti dall’Eubea rinvenuti nell’Area Sacra di S. Omobono e il cosiddetto Gruppo 125 dell’Esquilino, un corredo funerario aristocratico con preziose importazioni corinzie.

La sezione affronta inoltre la prima traduzione religiosa attraverso un frammento di cratere raffigurante Efesto su un mulo, rinvenuto nel Foro Romano. Queste testimonianze suggeriscono che le immagini viaggiavano insieme ai miti e che l’adozione delle forme greche fosse intrecciata ai processi di identificazione tra divinità greche e romane. Anche nel periodo di transizione politica tra VI e V secolo a.C., con il passaggio dalla monarchia alla Repubblica, il desiderio di modelli greci non si attenuò, ma si intensificò.

II. “Roma conquista la Grecia”: appropriazione attraverso la conquista

La seconda sezione, “Roma conquista la Grecia”, segna un cambio di atteggiamento: dall’ammirazione all’appropriazione. Con la sottomissione della Grecia nel II secolo a.C., l’acquisizione di arte greca diventa sistematica. Statue, dipinti e oggetti preziosi giungono a Roma come bottini e acquisizioni, rimodellando il volto urbano e arricchendo templi ed edifici pubblici. La sezione è allestita per rendere percepibile la scala di questo trasferimento e per sottolineare come l’arricchimento estetico di Roma sia inseparabile dalla dominazione militare e politica.

Il cratere di Mitridate: emblema di spostamento e reinterpretazione

L’oggetto emblematico della sezione è il celebre cratere dedicato da Mitridate Eupatore, recuperato dai fondali marini nei pressi della villa di Nerone ad Anzio. In un solo manufatto si concentrano le stratificazioni storiche che la mostra intende rendere visibili: una dedica regale, un oggetto di lusso mobile, un reperto spostato e un monumento recuperato in età moderna.

La sua presenza dimostra come le opere potessero essere sottratte alla funzione politica originaria e reinserite in narrazioni romane di possesso. La tesi generale della mostra diventa tangibile: la conquista non sposta soltanto gli oggetti, ma ne converte i significati.

III. “La Grecia conquista Roma”: esposizione pubblica, educazione e logica museale dell’impero

La terza sezione, “La Grecia conquista Roma”, sposta l’attenzione dall’acquisizione all’integrazione. Le opere portate a Roma dai generali vittoriosi vengono inserite negli spazi pubblici — portici, templi, biblioteche — trasformando il tessuto urbano e alimentando una passione per la cultura ellenistica che diventa parte integrante della formazione delle élite.

La mostra interpreta questo momento come un paradosso culturale: Roma domina militarmente la Grecia, ma la Grecia domina culturalmente Roma. L’arte greca diventa requisito dell’identità colta e componente essenziale di ciò che un romano istruito è chiamato a conoscere e possedere.

Il Templum Pacis e la ricostruzione digitale

In questo contesto, il Templum Pacis funge da riferimento chiave. La sezione ospita anche il nucleo tecnologico della mostra: una installazione video che ricostruisce ambienti perduti attraverso proiezioni sincronizzate. Il dispositivo digitale non sostituisce l’oggetto, ma ne restituisce l’intelligibilità, permettendo di comprendere come le sculture dialogassero con l’architettura e con i rituali civici.

IV. L’arte greca negli spazi privati: horti, ville e autorappresentazione

La quarta sezione affronta l’ambito domestico elitario. Non solo templi ed edifici civici, ma anche le residenze private potevano essere arricchite da arte greca. La distinzione tra opere collocate negli horti e quelle destinate alle ville imperiali consente di comprendere come l’arte greca operasse sia come dichiarazione urbana sia come strumento intimo di autorappresentazione.

Horti Sallustiani, Mecenate e Lamiani: una topografia del gusto

La mostra mette in evidenza gli Horti Sallustiani, tra Pincio e Quirinale, celebri per la loro ricchezza scultorea. Da questi esempi emerge una logica romana dell’esposizione: l’arte greca non è semplice ornamento, ma linguaggio attraverso cui i proprietari si definiscono come partecipi di una cultura elitaria di sapere e potere simbolico.

V. “Artisti greci al servizio di Roma”: atelier, produzione neoattica e riuso creativo

L’ultima sezione completa il racconto spostando l’attenzione dalla raccolta alla produzione. A partire dal II secolo a.C., scultori greci si stabiliscono a Roma, dando vita ad atelier che realizzano immagini classiciste per templi e residenze. La mostra inquadra questo fenomeno nella nascita dello stile neoattico, inteso come rielaborazione creativa del passato greco per le esigenze romane.

Pontios e la fontana a rhyton: firma, Dioniso e decoro romano

Emblematica è la fontana monumentale a rhyton, decorata con Menadi e firmata dall’artista Pontios. La firma testimonia come gli artisti greci potessero mantenere autorità e prestigio all’interno del sistema di committenza romano, confermando che la produzione neoattica non fu mera imitazione, ma una riscrittura colta del passato.

Perché visitare la mostra

In una città in cui l’antico è onnipresente, “La Grecia a Roma” si distingue per precisione intellettuale e densità materiale. Il suo contributo più originale è trattare l’arte greca a Roma come una storia di usi più che di soli stili. Attraverso un dialogo continuo tra oggetto, spazio e pubblico, la mostra chiarisce come l’arte greca abbia contribuito alla costruzione dell’identità romana lungo i secoli, offrendo al contempo una riflessione attuale sui meccanismi di appropriazione culturale, memoria e potere.

Una mostra per leggere le opere

L’esposizione è pensata per chi desidera leggere le opere come documenti storici. Specialisti, studiosi e pubblico colto troveranno un modello di narrazione curatoriale fondato sull’evidenza materiale e sull’interpretazione critica. Visitare “La Grecia a Roma” significa riconoscere che la storia dell’arte classica è inseparabile dalla storia del collezionismo, dell’esposizione e del potere — e che queste dinamiche emergono con straordinaria chiarezza quando gli originali vengono riuniti e messi in dialogo.

Un progetto di ampio respiro, di carattere archeologico e storico-artistico, curato da Eugenio La Rocca e Claudio Parisi Presicce, concepito per indagare in modo approfondito le dinamiche della trasmissione culturale tra Grecia e Roma. L’iniziativa è promossa da Roma Capitale e dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con il supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura.

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